Il discorso di Rose durante la cena.

Un menù a base di carità e solidarietà

Una tradizione, la Cena di beneficenza di Santa Lucia a favore di Avsi. E tra imprenditori, personalità e gente comune quest'anno erano in più di mille ad ascoltare Rose Busingye parlare sul suo lavoro con donne malate di Aids in Uganda
Eugenio Andreatta

Negli anni scorsi le testimonial della cena di santa Lucia si chiamavano Maria Grazia Cucinotta, Valentina Vezzali, principessa Alessandra Borghese. Quest'anno, alla tredicesima edizione della serata di gala natalizia di Padova, i riflettori invece erano puntati su Rose Busingye, l’infermiera di Kampala, punto di riferimento per tante donne affette dall’Aids. Non un’attrice o un personaggio mediatico dunque.

D’altra parte, anche gli altri testimonial scelti per la campagna della cena non erano personalità note al pubblico: Walter Panzeri, direttore tecnico dell’Università cattolica di Addis Abeba, suor Laura Girotto, anima dell’ospedale di Adwa (sempre in Etiopia) e padre Pedro Quintela, responsabile di Vale de Acór, un’organizzazione di solidarietà di Lisbona che opera nel recupero delle tossicodipendenze.

Strategia mediatica suicida? No, voglia di autenticità. «Abbiamo voluto mostrare a tutti le facce delle persone che per noi sono più significative», dice Graziano Debellini, che della cena è promotore fin dalla prima edizione. «Quei volti che ci hanno accompagnato in questi anni. E anche quelli che ci sono più cari. Non solo quando prepariamo un evento come questo, ma nella vita di ogni giorno, quando si va al lavoro e si affrontano le difficoltà della giornata».

Diciamo subito che la serata è andata molto bene. Sfiorato il migliaio di partecipanti, apprezzatissimo il menù dello chef Francesco Comerci, presenti in sala quasi tutte le maggiori autorità di Padova e del Veneto. Tra i testimonial, personalità quali monsignor Silvano Tomasi, rappresentante della Santa Sede all’Onu di Ginevra, e don Dante Carraro, direttore di "Medici con l’Africa". Spettacolare la passione e l’organizzazione dei 250 volontari per non fare attendere gli ospiti al loro arrivo, aiutare a parcheggiare l’auto o servire il piatto alla giusta temperatura. L’evento è stato seguito anche dai media, che hanno colto la valenza sociale al di là del glamour e hanno valorizzato i quindici progetti sostenuti, compresi i sei della fondazione Avsi.

Dopo tredici anni il know-how è consolidato, verrebbe da dire. «Quest'anno, però, volevamo provare a raccontare da dove nasce un evento come questo, come segno di riconoscenza per tanti amici che da anni ci seguono fedelmente», aggiunge Debellini. Così, a tutti i partecipanti è stato regalato, in confezione personalizzata per l’evento, il dvd La strada bella, realizzato per i sessant’anni di Cl. «Ci tenevamo che la cena potesse comunicare qualcosa di bello e di utile a ognuno di loro. Perché noi, cosa sia la carità, lo abbiamo imparato dal cuore grande di don Giussani».

E lo stesso suggerisce anche Giorgio Vittadini nell’editoriale uscito il 12 dicembre su Il Mattino di Padova: «Se si percepisse che l’educazione alla carità, alla solidarietà, all’abbraccio del prossimo e all’ascolto delle periferie è una risorsa per ripartire e non un orpello da sopportare, sarebbe forse più facile anche battersi per un nuovo inizio».

Anche Rose ha qualcosa da dire. Prima di esordire alla cena, assieme a padre Pedro visita un luogo che conosce bene, la casa di reclusione Due Palazzi. È la terza volta per lei. Tanti di quei detenuti sono facce note. Amici tra i più cari. Che hanno adottato a distanza orfani degli slum di Kampala. Quest’anno, inoltre, la Pasticceria del carcere sforna per la prima volta un panettone al passito "Fior d’arancio", i cui proventi andranno a sostenere altre venti adozioni a distanza. Un centinaio i carcerati riuniti per ascoltarla. Una decina tra loro Rose li ritroverà anche alla Cena, dove, da sei anni a questa parte, intervengono come volontari.

E cos’ha da dire Rose ai detenuti? «Che io non sono nulla. Ma per questo nulla il Signore del mondo si è commosso, al punto da farsi carne. E se su questa terra ci fossi stata anche solo io, sarebbe venuto ugualmente». Anzi. «Nessun se», diceva don Giussani a Rose. È andata letteralmente così. Lui è venuto solo per me. Vale per il bambino orfano, per la donna ammalata di Aids, per il detenuto, così come per il presidente degli industriali, il prefetto, il questore e il rettore dell’università. Tutta gente a cui Rose dirà le medesime cose dal palco del centro congressi Papa Luciani. Bella la cena, grandi i progetti e utili le raccolte di fondi. Ma, come racconta proprio Rose in uno spezzone de La strada bella, proiettato durante la serata, «le medicine, i progetti, i soldi, il cibo, qualsiasi cosa, sono uno strumento, per dire a uomini, donne e bambini: tu hai un valore».